Un bilancio e il fallimento della ragione (ovvero sull'ansia esistenziale e sull'idealismo ottuso)

In questo periodo della mia vita sto vivendo il fallimento della ragione. Mi spiego. Ho studiato filosofia. Un corso di laurea prima, di dottorato poi che ho allunganto all'inverosimile per passare più tempo possibile con quei libri che leggevo e rileggevo molte volte per convincermi che la ragione, quella di stampo occidentale e di stile filosofico potesse salvarmi dalle mie ansie, dalla paura di perdere il controllo sulla vita e sugli eventi. La concatenazione degli eventi di una vita doveva essere sottoposta ad una logica ed io mi ero prefissa la missione di metterla in chiaro, di svelarla e, in questo modo, di farla in barba a tutte le ansie esistenziali. Per me la filosofia era come dello junk food, ne facevo delle grandi indigestioni per dovermi poi disintossicare con lunghi periodi di digiuno, in cui recuperavo le energie per ricominciare la mia ricerca. Più leggevo, più studiavo e più i miei dubbi crescevano; più coltivavo i miei dubbi più mi convincevo di dover continuare a cercare per poter sedare la mia ansia esistenziale. Ottenere un titolo o superare un esame era uno scopo apparente, poiché non sarebbe stato sufficiente questo movente a costringermi seduta per giorni davanti ad uno stesso libro. Ogni testo diventava Mio, carne della mia carne, sangue che mi scorreva nelle vene, questo perché ricercavo semplicemente un modo per poter vivere meglio o forse semplicemente per poter sopravvivere. In ogni testo trovavo tutto il necessario per risorgere dalla mia ansia esistenziale e contemporaneamente per riinfognarmi in una serie di interrogativi indiscernibili e oscuri intorno ai quali arrovellarmi da quel momento in poi. Fu un'intuizione che mi venne la prima volta che aprii un testo filosofico, ma non ricordo più quale. Questa mi portò a pensare che la ricerca in ambito filosofico-antropologico fosse la mia salvezza e quindi la mia missione vitale. Questo mi ha dato, in alcune occasioni e periodi, una spocchia di superiorità che tutt'ora, a ripensarci, mi dà un certo fastidio. "Io studio per vivere e non per tirare a campare, che ne sapete voi, che sfogliate libri con nonchalanche solo per fare una tesi o preparare una relazione..." gridava il mio ottuso atteggiamento di superiorità. Alla fine tutta questa mia ottusità è esplosa, e non poteva che essere così. Ogni missione vitale, se vissuta in modo bruciante e totalmemente coinvolgente è destinata a fallire. Anzi, direi meglio, è costruita per essere disattesa. I miei fini irraggiugibili servivano per crearmi delusioni. Idealismo ottuso il mio. Pensavo poi che tutto quest'impegno, che tanta dedizione potesse procurarmi una posizione, che tanto lavoro, seppur speso ai margini del "normale" curriculum universitario potesse offrirmi una posizione in quell'ambiente. Con la mia solita spocchia di superiorità pensavo che andasse da sè: a chi capisce e "vive" la filosofia come facevo io non poteva, prima o poi, essere risevato un posto nell'ambito della ricerca. Invece no, ancora una volta mi ero alienata e ero uscita, anche grazie a quel modo bruciante di vivere la filosofia dalla realtà, riservandomi un posto nella sfera dell'illusione. Poi, mano a mano è arrivata la disillusione o meglio la caduta delle illusioni. Ancora oggi, però, in un angolo della mia mente c'è nascosto il desiderio di ricercare per risolvere e salvare. Ancora oggi conservo un pò l'ideale di trasmettere quel sapere per me indispensabile per alleviare l'ansia esistenziale, quel sapere risanatore che tante volte ha risanato la mia anima concedendole la possibilità di guardare con fiducia al futuro. (Henri Matisse - Donna che legge)

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