"Non possiamo pretendere di risolvere i problemi pensando allo stesso modo di quando li abbiamo creati" A. E.

UNA QUESTIONE DI METODO E NON SOLO



Questa frase di Albert Einstein mi ha molto colpita. Analizzandola mi rendo conto che presuppone almeno un paio di concetti: in primo luogo che ognuno di noi crea i suoi problemi. Questo è interessante perché esclude il fatto che i problemi siano realtà oggettive, che siano reali in modo universale. I problemi, piuttosto, sono delle realtà soggettive, poiché frutto di un vero e proprio processo di creazione e costruzione degli stessi. Anche quei problemi di ampio raggio, che quindi sembrerebbero coinvolgere tutti sono dei punti di vista, ovvero dei "tagli" che diamo al reale attraverso una chiave interpretativa scelta deliberartamente e condivisa in modo più o meno consapevole.
Premesso dunque che i problemi siano frutto di una creazione intellettuale degli stessi, non è possibile risolverli pensando così come li si è concepiti. Che vuol dire? Vuol dire che se interessa davvero risolvere le situazioni problematiche bisogna uscire dalla logica attraverso la quale si è arrivati a pensare che quelle fossero problema, tirarsi fuori dal sistema di pensiero attraverso il quale si è giunti a sentirsi invischiati in essi. Un nuovo modo di ragionare, un diverso punto di vista, una rottura, un'alienazione sono richiesti per risolvere i problemi.
Quando non si trova soluzione, allora, nel concepirli si dev'essere commesso un errore, quello che porta a pensare di non poter trovare la soluzione. Il problema insolubile è il problema che non è uscito da se stesso, che rimane chiuso nella sua logica problematica senza individuare aperture e scappatoie verso l'altro da sé, dove è riposta la sua soluzione.
La parola "problema" deriva dal greco πρόβλημα ovvero "sporgenza, promontorio, impedimento, ostacolo", dal verbo προβάλλω "mettere davanti", dal prefisso προ- "innanzi" + βάλλω "mettere, gettare". Il problema è quindi un ostacolo messo a ostruire la strada della ricerca della verità.
La filosofia, tra tutte le discipline, è forse quella con una maggior carica di problematicità in quanto la sua prassi metodologica consiste nel porre questioni, nell'avanzare problemi. La filosofia, per come la vedo io, è la disciplina provocatoria che mettere ostacoli, pietre d'inciampo sulla strada del sapere, "facendo lo sgambetto" alla -presunta- verità precostituita, per mettere in discussione quelle assunzioni cristallizate sulle quali a volte si fondano le scienze. Oggetto della filosofia sono dunque le verità precostituite che, causa il loro carattere di statica immobilità, sono spesso il nido dell'errore e della cecità intellettuale.
Ma se la filosofia è la disciplina "problematica" per eccellenza, ogni scienza evolve internamente attraverso l'individuazione di problemi e la risoluzione degli stessi. Ogni volta che si viene a capo di una questione problematica, infatti, si è dovuta cambiare strada, poiché per superare l'ostacolo è necessario modificare la rotta iniziando a pensare in modo differente rispetto a quando si era individuato il problema stesso.
Questo vale anche per le nostre situazioni esistenziali: se non abbiamo la forza di cambiare strada rimarremo infognati nello stesso problema, girandogli intorno e credendo illusoriamente di aver trovato la soluzione.


Se non si riesce in nessun modo a risolvere i propri problemi bisogna chiedersi se non si voglia rimanere invischiati in essi. I problemi, infatti, pur essendo dei veri e propri tarli del cerevello sono forti stimoli vitali e possono fornire delle ragioni di cui non si riesce a fare a meno. Non uscendo dalla logica che li ha creati rimaniamo bloccati, sofferenti, delusi di noi stessi e disillusi. Pratichiamo il lamento e l'autocommiserazione e viviamo nel grigiore e nell'opacità della coscienza che, così contratta non può essere trasparente e franca a sé stessa. Il problema dev'essere il nostro faro e non il nostro tarlo, la torcia accesa sulla strada della verità.

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