Preoccupazione e meraviglia

Questo privilegio della previdenza l'uomo deve scontarlo con la tortura senza tregua della preoccupazione, che parimenti nessun animale conosce: essa è l'avvoltoio che rode il fegato dell'incatenato Prometeo.
Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena, 1851
Credo che ogni ansia esistenziale possa essere ricondotta all'idea della morte, che è per eccellenza la questione che preoccupa l'umanità. L'etimologia della parola "preoccupare" mi avvicina particolarmente all'idea di morte come ansia esistenziale del vivere, poiché aggiunge al verbo occupare (inteso come occuparsi di) il prefisso temporale "pre"; preoccuparsi, infatti, è occuparsi in anticipo, prima che ci siano le condizioni per potersi realmente occupare. La preoccupazione, dunque, è la proiezione sul futuro delle nostre ansie, completa dell'interesse che paghiamo su di esse prima ancora che le uova nel paniere siano rotte, prima cioè che i nostri guai siano effettivamente avvenuti. Questo privilegio della previdenza che l'uomo ha rispetto a tutti gli altri esseri viventi è pagato, per Schopenhauer, con la tortura della preoccupazione. Prometeo incatenato, il cui fegato è roso dall'avvoltoio è simbolo dell'umanità tutta, tormentata dalla preoccupazione sul suo futuro. Preoccuparsi della propria morte, quindi, vuol dire occuparsi in anticipo di quest'evento definitivo che è la negazione della vita, almeno di quella terrena.
D'altra parte, però, non c'è niente come pensare di dover morire per avvicinarsi a trovare il senso della vita. Prevedere, seppur con l'eventuale svantaggio di generare preoccupazione serve a vedere con maggior lucidità il momento attualmente vissuto, poiché la prospettiva della sua fine gli dona significato facendo in modo che acquisisca il giusto valore. Nessun progetto di vita potrebbe realizzarsi senza l'idea della sua fine, anticipata attraverso la nostra capacità di previsione e di proiezione sul futuro. Albert Einstein scrisse: "chi non riesce più a provare stupore e meraviglia è già come morto e i suoi occhi sono incapaci di vedere"; io aggiungerei: "chi non vive la sua vita prospettandosi la sua fine nella morte non riesce a provare stupore e meraviglia e quindi è come un morto vivente". Essere sopraffatto dalle preoccupazioni, dunque, potrebbe essere piuttosto di chi non è in grado di meravigliarsi davanti all'abisso della sua fine poiché, come scrisse William Shakespeare "Le cose non comprese sono sempre meravigliose".

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