Pensateci bene, la morte non esiste

Un'altra questione cruciale è: perché utilizzare il proprio tempo e le proprie risorse intellettuali a ragionare sulla morte? O altrimenti ci si potrebbe chiedere, perché dedicare la prima pagina del proprio diario intellettuale alla morte, e alla morte come inizio?
La risposta è ancora una volta complicata da esprimere, ma comunque molto chiara al mio pensiero: perché la morte non esiste, se non nella sensazione di paura che accompagna il pensiero e la sensazione che la propria vita debba finire. Questo implica un'idea che potrei definire "innata" o "istintiva"; si tratta dell'idea della perpetuità, ovvero l'idea di continuità senza fine che accompagna ogni nostro progetto, ogni nostra proiezione, in fondo ogni nostra azione. Voglio dire che l'agire umano è mosso dall'idea di una permanenza, e senza questo movente probabilmente non faremmo nulla più che dormire. Ebbene, la morte è essenzialmente tragica e assurda in quanto interrompe quella permanenza e distrugge la proiezione al futuro che muove ogni nostra azione. Chi ha paura della morte, infatti, tende a fermarsi, a rallentarsi, in qualche modo tende proprio a quella fine che teme, tende alla morte.
Ma se io ti dicessi che la morte non esiste? Tu mi risponderesti: "puoi blaterare quanto vuoi, ma che la morte esiste è certo ed io l'ho vista, e più di una volta, in questa o quella persona morta. Ho visto il corpo rigido e senza respiro dei morti, ho visto la differenza tra un vivo e un morto, dunque la morte esiste".
Allora io ti risponderei: "Ma di quale morte hai paura, a quale morte pensi quando ti viene la pelle d'oca e il sudore freddo, alla tua o a quella altrui?" Penso che se tu fossi del tutto sincero mi risponderesti che è alla tua di morte che pensi, quando la morte ti fa più paura.
Ebbene, non esiste nessun uomo al mondo che abbia mai fatto esperienza della propria morte. La vita, infatti, è sempre e solo vita e non c'è nessuna possibilità che si trasformi in morte, per chi la sta vivendo. Chi sta vivendo vive e basta, fino all'ultimo minuto della sua vita vive e non è possibile che percepisca la sua morte. La morte, dunque, è quella altrui quella che vedo e che, per immaginazione trasferisco su me stesso e sul mio corpo. La mia morte, però mi è e mi sarà per sempre sconosciuta. Questo, a mio parere, spiega il fatto che la morte sia un concetto così difficile da affrontare e da digerire: la morte è estranea al vivente perché la morte non esiste.
In un altro senso, però, la morte esiste, ed è addirittura una componente essenziale della vita. Questo avviene quando la morte entra a far parte del mio vissuto emotivo come "paura della morte", cioé paura che avvenga a me ciò che vedo avvenire agli altri. In questo senso, e solo in questo senso la morte esiste. Non si tratta però della propria morte ma della morte altrui. Io ho paura della mia morte che vedo verificata nell'altro. Ma la morte non è un fatto, non è un'esperienza, non è un vissuto. In questo senso non posso trattare la morte alla stessa stregua degli altri vissuti esistenziali, non posso considerare la morte come un'esperienza reduplicabile dall'altro a me. Nessuno ha vissuto la sua morte, nessuno ha mai raccontato a qualcun altro della sua morte, per questo dico che la morte non è un'esperienza e non deve essere trattata come un'esperienza. Quando noi consideriamo la morte come un "fatto", noi la trattiamo, invece, esattamente come una qualsiasi altra esperienza, come una gita in barca, come un dolore fisico, come un incidente, insomma come un fatto. La morte, però, non è un fatto, la morte come esperienza di morte non esiste, la morte è un'esperienza di vita, l'esperienza del tendere a quella "fine" che da vivente non mi appartiene né mai mi apparterrà. Per questo, a mio parere, è logicamente assurdo temere la morte, poiché questa non si verificherà mai in me, in quanto essere vivente.

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