L'inutile lotta contro la morte


Si diceva della morte, della sua radicalità, cioè del fatto che è considerata come il fine inesorabilmente tragico di tutti gli esseri umani razionali. Eppure questa concezione della morte è debole e l'errore riguarda il modo stesso di intendere la vita così come è concepita dalla società moderna. Questa mia idea è difficile da esprimere, ma ci proverò ugualmente. L'ideale di vita dell'uomo contemporaneo è quello della bellezza e della salute. Salute e bellezza equivalgono a benessere e a felicità. Pensate alle basi della medicina: quando facciamo un esame clinico otteniamo un giudizio sul nostro corpo. Ma a partire da quale pre-concetto il nostro corpo viene valutato? Da un'idea di corpo idealmente perfetto. Ogni malfunzionamento è considerato un male in quanto potenziale portatore di morte. Questo concetto ne cela essenzialmente due: in primo luogo che esista una perfezione funzionale del corpo umano, in secondo luogo che questa perfezione sia percepibile dall'osservazione scientifica. Entrambi questi assunti mi sembrano falsi. Se la vita umana è destinata a finire nella morte, e se questo fine è intrinseco alla vita stessa, ciò significa che un coefficiente di morte appartiene alla vita stessa. Così, la "disfunzione" formale, così come il dolore e la sofferenza dei sensi sono una parte integrante della vita stessa. Noi, però, combattiamo contro la morte, così come combattiamo il dolore. Lottiamo per sconfiggere la malattia come se volessimo vincere la morte. Ma la battaglia contro la morte è sempre inesorabilmente persa, quindi questa lotta è frustrante e inutile. Mi riferisco ad esempio all'atteggiamento con cui ci si propone di affrontare le malattie più gravi. "Lotta contro il cancro". Ma lotta contro che? Lotta contro che? Lotta contro noi stessi, contro il nostro corpo, contro il nostro cuore.

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