La nascita dal punto di vista della madre



Lasciar essere
Aiutare a crescere
Lasciar essere e non accaparrare
Mantenere e non assoggettare,
Presiedere alla vita e non far morire
E' questo il mistero della virtù

Tao Te King


Per Eunice e Timoteo

NASCITA E MORTE, LE FRONTIERE INVISIBILI

La nostra vita e le nostre sono tutte comprese tra il loro inizio (la nascita) e la loro fine (la morte). Eppure né la nascita né la morte sono vissuti coscientemente dai protagonisti poiché, come a nessuno di noi è dato di ricordare il giorno della venuta al mondo, tanto meno può sperimentare da vivente la propria morte.
Della nostra nascita ascoltiamo i racconti, guardiamo le foto e immaginiamo gli episodi; nonostante ciò non ne ricordiamo nulla. La nostra morte la immaginiamo quando assistiamo alla morte altrui, su di lei ci concentriamo nei momenti più cupi quando, a causa del dolore, ci sembra di vivere la morte come fine di tutto. Questa sensazione, però, la possiamo provare solo da viventi, poiché la morte vera e propria sta oltre la soglia della vita.
A differenza della morte, l'esperienza della nascita rientra nell'arco della vita, seppure non sia vissuta in modo consapevole e cosciente. Della nostra vita pre-natale e dei primissimi anni di vita non abbiamo ricordi, ad essa non associamo alcun sentimento o affetto preciso. Tuttavia, ciò che ci avvenne a quel tempo può condizionare radicalmente il nostro oggi. Quegli eventi, infatti, sono stati registrati e restano in una sorta di “cervello limbico” al quale normalmente non abbiamo un accesso diretto, ma solo inconscio ed automatico.
Per capire qualcosa in più di noi stessi e per ponderare meglio il nostro spettro emotivo e relazionale può essere molto utile iniziare a informarci sugli eventi della nostra nascita e sui primi anni di vita. Per fare questo ci dobbiamo rivolgere ai nostri famigliari e parenti e soprattutto a chi quella vita ha procurato, la madre. Proprio della madre vorrei parlare in questo post, per provare a descrivere l'esperienza della maternità dal punto di vista razionale ed affettivo di chi dà luogo fisicamente alla nascita di una nuova vita.

LA NASCITA DAL PUNTO DI VISTA DALLA MADRE

La nascita ha due figure protagoniste: il figlio e la madre. Il figlio riceve la vita, la madre quella vita la dona attraverso se stessa. La nascita non è un evento bensì è un processo che avviene nella madre e per mezzo di essa. Il processo di maternità coinvolge a pari merito sia il corpo che l'anima della donna, questo coinvolgimento al contempo fisico ed emotivo è per ogni madre un'esperienza formidabile. Pur essendo ordinariamente donata alla maggioranza delle donne, ogni donna vive nell'esperienza della messa al mondo di un figlio emozioni straordinarie, d'intensità inequiparabile a qualsiasi altro episodio della vita.

LA GRAVIDANZA

Nessuno stato è così simile alla pazzia da un lato, e al divino dall’altro quanto l’essere incinta. La madre è raddoppiata, poi divisa a metà e mai più sarà intera Erica Jong

Il primo momento della maternità è la gravidanza, una condizione fisica e psicologica del tutto particolare in cui impensabili modificazioni trasformano il corpo femminile in sintonia, ma a volte anche in contrasto, con sentimenti ed emozioni.
La gravidanza coinvolge due corpi: un corpo contenente visibile ed un corpo invisibile in esso contenuto. I due corpi, il contenente e il contenuto, hanno un rapporto reciproco di dipendenza ma anche di autonomia. Se il corpo materno, infatti, alimenta, cresce e sostiene il feto che ospita, questo si viene sviluppando come creatura sostanzialmente diversa rispetto al corpo che lo contiene, con una sua individualità del tutto distinta della madre. La gravidanza, quindi, è la condizione per cui due corpi con identità differenti sono fusi e dipendenti l'uno dall'altro, per cui due vite distinte restano unite in una vita sola. Si tratta della vita della madre-gestante, doppia e contemporaneamente unica al contempo.
Questa "doppiezza" di corpi ha un corrispettivo spirituale: come nel corpo della donna attecchisce e cresce il corpo dell'infante, così lo spirito vitale della donna gravida sembra rinnovarsi e "rinascere", durante la gestazione, nel sentir crescere in sé quello giovanissimo del bimbo non ancora nato. Il desiderio della donna incinta, infatti, è a volte di esserlo di nuovo presto, poiché questa eccezionale vitalità è entusiasmante al tal punto da non voler mai essere abbandonata. Questo è il motivo biologico, a mio parere, per cui nelle società più primitive ogni donna ha naturalmente molti figli e il fatto di non poterne avere è considerato un grave difetto sociale.
La crescita del feto nel grembo materno comporta di pari passo una sorta di adattamento spirituale, che si traduce in una fertilità emotiva coordinata alla novità che occupa il grembo. Ecco allora che un rinnovato ottimismo pervade sensi e intelletto infiammando l'istinto vitale.
Durante la gravidanza la donna vive una specie di ritorno all'infanzia: in quello stato ha bisogno di essere accudita e coccolata, prova desideri che necessitano di essere esauditi (le cosiddette "voglie") quasi che esprimesse i bisogni infantili del bambino che vive dentro di sé. Tale regressione alle emozioni infantili è la sintonia che la madre ha con la creatura che la ospita.
Dal punto di vista anatomico, la pancia che cresce è l’elemento distintivo della gestazione. In pochi mesi la donna cambia forma, peso e volume. Di conseguenza cambia anche il rapporto con il proprio corpo e con l’ambiente circostante. La donna incinta occupa uno spazio maggiore, ha un peso più imponente del solito e questo la mette in una diversa relazione di significato con ciò che la circonda.
Secondo alcuni studiosi di immunologia gravidica, l'ambiente uterino della madre reagisce alla presenza del feto in modo non univoco: se da una parte cerca di accettarlo, dall'altra cerca di annientarlo e rigettarlo allo stesso modo di un "tumore maligno". Così, nei primi mesi di gravidanza, quando il pancione è poco percettibile la donna è in molti casi affetta da malesseri e nausee, quasi ad indicare che qualcosa sta cambiando e che, in relazione a queste modifiche, il corpo ora richiede più cure e più protezione di prima. La nausea è il più delle volte accompagnata all'ipersensibilità agli odori che spesso allontana la donna dal godere come prima dei piaceri gustativi. In questo modo, quel "qualcosa" di nuovo, ancora indefinito e minuscolo che occupa il grembo manifesta, attraverso questi malesseri, la sua estraneità al corpo ospitante. Contemporaneamente dimostra inoltre il suo bisogno di cure particolari ed esclusive che si manifestano in nuove e diverse esigenze alimentari di carattere più spiccatamente conservativo rispetto al periodo precedente la gestazione.

Con lo scemare, in genere dopo il terzo mese, delle nausee la pancia inizia a crescere visibilmente; contemporaneamente si forma per la futura mamma, la consapevolezza del proprio potere generativo. Da un punto di vista psicologico il secondo trimestre è quello in cui si inizia ad avere un'immagine mentale del bambino, questo grazie anche alla percezione dei movimenti fetali che confermano la sua presenza nel grembo.
Attraverso l'ascolto dei movimenti si instaura una sorta di dialogo motorio tra feto e madre e questa è la prima relazione che la madre costruisce con il nascituro. A volte, ai movimenti viene assegnata una differente valenza affettiva: gioia, disagio, gioco, mentre l'assenza di movimenti viene associata al sonno, altre volta alla preoccupazione riguardo alla salute del feto. Capita inoltre che, nonostante la donna continui ad assolvere i suoi compiti abituali, manca in lei una partecipazione intima per ciò che fa; in un certo senso le energie psichiche vengono ritirate dal mondo esterno in favore della salvaguardia di ciò che avviene dentro di sé.
Nel terzo trimestre la pancia è l'elemento distintivo della gestante che ha oramai decisamente cambiato le sue forme e il suo aspetto. L'avvicinarsi della nascita spesso causa ansietà e timori legati alle incognite che riguardano il parto e le sue possibili modalità, nonché alle sofferenze fisiche che questo verrà a provocare. La trepidazione dell'attesa, d'altra parte, diventa talmente forte che non si vede l'ora di poter vedere, abbracciare e finalmente toccare il nascituro. Contemporaneamente, si delinea una prova della responsabilità genitoriale nella scelta del nome da attribuire al bimbo. Il nome, infatti, è la prima imposizione che un genitore dà al figlio. Nel nominare si compie l'opera della gravidanza, poiché quanto è immaginato e sognato per il figlio si sintetizza in quell'unica parola scelta per descriverne, ancor prima di vederlo, l'essenza, definendolo nel modo più completo possibile.

Quello della donna incinta è uno stato che, nonostante le fatiche e i disagi fisici che la gestazione comporta, dona alla donna una sensazione di pienezza e di completezza al contempo fisica ed emotiva. La vita della gestante ha un senso aumentato rispetto a prima, che la porta al di là di se stessa e della propria esistenza individuale. Nonostante il carico di responsabilità che ci si prepara ad affrontare l'esistenza si semplifica, si riconduce alle cose essenziali, quelle legate alla vita e al suo mantenimento. Questo stato così particolare porta a riassestare molte delle esperienze che si sono stratificate nella psiche nel periodo che ha preceduto la gravidanza e che hanno caratterizzato la storia personale nella relazione con le figure cardine della propria vita. In particolare, il passaggio dal ruolo di figlia a quello di genitore per prenderne emotivamente il posto. In questa metamorfosi emotiva anche il rapporto con la propria madre si trasforma poiché la madre, che durante l'adolescenza è modello di vita, ma anche rivale, ora acquisisce il ruolo di consigliera. E' con lei, in primis, che c'è la possibilità di condividere le esperienze e le emozioni della maternità.

L'ultima tappa della gravidanza è la separazione dal bimbo che vive in sé, ancora sconosciuto e al contempo del tutto noto per la sua intimità profonda con chi lo contiene. Il parto è un distacco, uno svuotamento e una separazione ma al contempo il parto è l'avvento della vita, il culmine della creazione. Tale distacco è temuto e atteso poiché, se consentirà di "fare conoscenza" con il nuovo nato, è individuato come la fase più critica di tutta la gravidanza. Capita allora che si venga colti da dubbi sulla capacità di separarsi dalla "pancia" che giorno dopo giorno individua e caratterizza sempre di più proprio per il suo peso. Può andare poi a finire che i dolori e le difficoltà legate al parto, anticipate dai racconti delle esperienze altrui o dai ricordi delle proprie precedenti si trasformino in realtà, ma quando arriva il giorno della nascita ci si accorge che nulla di simile può avvenire nel corso della vita tutta, nessuna esperienza in cui siano così pienamente fusi assieme gioia e dolore.

Per chi aspetta la nascita tuttavia, "il giorno" della nascita è impossibile da prevedere esattamente. Quel giorno è inizialmente solo una data del calendario fissata in anticipo da una stima teorica fatta a partire dal giorno dell'ultima mestruazione. Per le mamme a cui viene indicato un parto cesario programmato quella data coincide con il giorno della nascita, mentre nel caso del parto naturale la nascita effettiva può disattendere l'aspettata, arrivando in anticipo o in ritardo rispetto a quanto preventivato.

Nove mesi, più o meno, sono trascorsi durante i quali, assieme all'immagine mentale del bambino la mamma ha coltivato paure, speranze, aspettative e sogni. Ha assistito alle innumerevoli modifiche a cui, in poco tempo, è andato incontro il suo corpo, ha visto crescere il suo ventre, l'ha sentito sobbalzare e muovere. Il bimbo, l'ha portato in sé come in una culla sognando il suo viso, immaginando di stringerlo di già tra le sue braccia. La nascita che sta per giungere, tuttavia, è costellata da incognite e nessuna donna, neanche la più esperta e navigata può dirsi "pronta" ad affrontare il suo parto per davvero poiché quest'esperienza tocca vertici emotivi inimmaginabili tanto sono profondi e radicali. In un vortice di emozioni, il sentimento che più di tutti contraddistingue l'esperienza della nascita è la meraviglia, lo stupore pieno di fronte all'imperscrutabilità dell'avvento della vita su questa terra. Questo sconcerto porta ad accoglierla come dono e non c'è persona più piena di gratitudine, felice e gratificata di una donna che è appena diventata mamma.

Dal parto in poi, la maternità si configura come un distacco. Dalla fusione organica della gravidanza alla dipendenza vitale dei primi tempi all'acquisizione progressiva di abilità che, giorno dopo giorno, segnano l'acquisizione dell'indipendenza del nuovo nato. In ciò si configura la responsabilità genitoriale nel lasciare che la vita si manifesti, che essa Sia seguendola e preservandola come dono assoluto. L'stinto genitoriale ci guida ed è necessario conservarlo il più possibile puro e intatto, così come si accese in quel fatidico giorno in cui fummo messe, attraverso il nostro corpo, al cospetto del miracolo della vita. Aiutare a crescere la vita che noi abbiamo procurato è ora la nostra missione e farlo nella consapevolezza che quella creatura che viene da dentro non è nostra, che non ci appartiene a volte può apparire paradossale. "Presiedere alla vita e non lasciar morire, questo è il mistero della virtù".

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